giovedì 23 settembre 2010

I vincitori del 67esimo festival del cinema di Venezia


Il festival di Venezia questo anno è stato probabilmente povero di glamour ma ricco di film di spessore, con Isabella Ragonese nel ruolo di madrina e una giuria di eccezione capitanata da Quentin Tarantino e che includeva anche Salvatores, Guadagnino, Neshat e Akin e che ha premiato praticamente solo film stranieri. La presenza di quattro film italiani in concorso ( La passione, La solitudine dei numeri primi, Noi credevamo e La Pecora nera) non è bastata per assicurarsi neanche un premio. La 67esime edizione di questo festival si è aperta col film Black swan e ha visto, nel suo sviluppo, la presentazione del film Somewhere di Sofia Coppola, dell'ultima pellicola di Alex De la Iglesia, di Machete di Rodriguez e di una serie di documentari, tra cui uno molto apprezzato su Vittorio Gassman e quello girato da Tornatore su Goffredo Lombardo. I pronostici delle ultime ore sono stati rispettati. Come si vociferava il Leone d'Oro per il miglior film è andato alla figlia d'arte Sofia Coppola per il film Somewhere. "Non ci posso credere, sono così orgogliosa" ha dichiarato la regista visibilmente emozionata.
Il Leone d'oro per l'insieme dell'opera, premio che non viene consegnato ogni anno ma solo quando sono presenti forti personalità, è andato invece al regista newyorkese Monte Hellman, mentre il Leone d'argento è stato consegnato al regista Alex De la Iglesia ("queste giornate a Venezia sono state le migliori della mia vita") per A Sad Trumpet Ballad , film che ha ricevuto anche il premio Osella per la miglior sceneggiatura. Il premio alla carriera è stato dato a John Woo, mentre il premio speciale della giuria è andato, con grandi applausi da parte di tutto il pubblico e della giuria, a Essential Killing di Jerzy Skolimowski ; il grande regista ha ritirato non solo questo premio ma anche quello della Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile: Vincent Gallo è infatti il protagonista del suo film. La Coppa Volpi per la miglior attrice è stata consegnata ad Ariane Labed per il film Attemberg.
Il Premio Marcello Mastroianni, consegnato da Guadagnino, è andato a Mila Kunis per Black Swan, mentre la Osella per miglior la fotografia a Silent Solus del regista Aleksei Fedorchenko. Il Leone del futuro opera prima Luigi de Laurentis è stato consegnato al film Majority dal regista Fatih Akin.

Assignment 9: epilogo

Voglio essere sincero fino in fondo. Io non mi posso definire un esperto del computer. Anzi, diciamo la verità: di computer ci capisco poco e ho sempre avuto una certa avversione per questo oggetto tecnologico. Anche se avversione non è proprio il termine più adeguato: quello tra me il mio pc è sempre stato un rapporto di amore-odio. Perciò, quando ho saputo che questo anno avrei avuto un corso di informatica, mi sono messo le mani tra i capelli pernsando che non sarei stato capace di prendere un buon voto e che avrei faticato molto. Mi ricordo che chiesi subito a dei ragazzi all'università con me se erano disposti ad aiutarmi.
Quando, alla prima lezione, mi fu espressa la possibilità di fare un esamino scritto mi sono rincuorato: avrei studiato un pò, poi avrei accettato il risultato cercando di fare il minimo sindacabile. Parlando con i miei compagni di università, mi accorsi che l'idea di fare almeno il blog non era così cattiva, perciò mi dissi che almeno potevo provare a mettere su un blog e vedere come veniva, poi gli assignement li avrei fatti stada facendo..Così iniziai a fare una serie di articoli su una delle mie passioni: il cinema, una cosa che alla fine non è poi così lontana dalla mia abitudine di scrivere recensioni di film sul giornalino scolastico al liceo. E ho scoperto che mi divertiva anche. Tuttavia, essendo assorbito dagli studi, tralasciai tutti gli assignement per fare solo post. A maggio arrivò un voto (alto per i miei standard), ma ritenni che potevo fare di più e che questo esame aveva qualcosa da darmi, che avrei utilizzato anche a prescindere dell'uso "scolstico". Perciò non accettai il voto e procrastinai gli assignement ancora una volta, in favore dello studio. Una volta dati gli esami ho avuto modo di fare un piccolo Tour de force di assignement in questi giorni (infatti, se si osservano le date degli ultimi post, sono tutte molto ravvicinate). E fare questa piccola kermesse non mi è dispiaciuto, perchè passo passo ho costruito qualche piccola conoscenza col computer e, magari non moltissimo, però posso dire che il mondo del web adesso mi è più chiaro. E ce l'ho fatta da solo!

Assignment 7 e 8: Open Educational Resources e “contenuti”

Sono sempre stato un pò riluttante, anche quando frequentavo il liceo, a usare internet come fonte di materiale di studio. Forse perchè ho sempre pensato che quello che mi veniva chiesto a scuola era scritto nei manuali (che avevo pagato cari) e perciò cercare ulteriore materiale da studiare mi sembrava non necessario. Tuttavia, digitando semplicemente "Risorse didattiche in rete" su un motore di ricerca qualsiasi, mi sono stupito della quantità e del pregio del materiale che questi siti mettevano a disposizione. Ad esempio, giusto per divertimento, mi sono messo a cercare delle cose di letteratura in un portale con risorse didattiche come dienneti e ho visto che il materiale a disposizione non era fatto male! Perciò penso che sarà un sito che riconsulterò, dato che per me la lettura è un hobby e, pertanto, è un grossovantaggio sapere un parere più approfondito, una nozione in più sull'autore o una notizia su un testo, senza doverlo cercare in manuali che, purtroppo, non possono dire tutto su ogni libro (senza contare che non possono essere sempre aggiornati).

Penso che le OER mi saranno utili ora che faccio l'università: mi è capitato già diverse volte di tornare a casa con l'impressione di aver capito il 30% delle cose che mi venivano dette a lezione, quindi avere a disposizione su internet un aiuto o un corso gartis è veramente un guadagno! Perciò credo che continuerò a studiare su appunti e sui libri (alla vecchia maniera) e di utilizzare le OER come strumento complementare.

Assignment 6: risorse bibliografiche; semplice ricerca tramite pubmed

Oggi per la prima volta ho utilizzato il motore di ricerca Pubmed. Trovo che sia un sito molto preciso e parecchio aggiornato. Quando ho visto la quantità di tutorial/consigli per fare una ricerca sul sito devo ammettere che mi sono un pò spaventato, ma poi mi sono accorto che non è molto più complicato che cercare delle informazioni in un'enorme biblioteca: bisogna essere dettagliati su cosa si sta cercando per evitare di perdersi in una marea di informazioni. Ho seguito le indicazioni date da una studentessa di qualche tempo fa e ho fatto una ricerca avanzata sul sonnambulismo e lo "sleepwalking", dato che alcuni giorni fa ne parlavo con alcune persone e sentivo di essere completamente ignorante sull'argomento. Ho cercato restringere il campo delle notizie cliccando su "limits", dove ho fatto in modo che il sito cercasse notizie solo dell'ultimo anno, relative alla specie umana, in inglese (dato che non ho la capacità di tradurre da lingue straniere e dato che in questo idioma vengono pubblicati articoli di interesse mondiale), con l'opzione di avere link al testo integrale gratuito.
Ho scoperto che la fascia di età più colpita è compresa tra 5 e 12 anni e che, solitamente, i sonnambuli non vanno in giro a braccia tese per la casa, ma è molto più comune che si mettano a sedere sopra il letto e ripetano azioni tipo fare finta di lavarsi il viso o parlare o gesticolare. Stando a degli studi Females reported more speaking, crying, fear and smiling/laughing than did males; males reported more sexual arousal, come affarma un estratto da

Sleep. 2009 Dec 1;32(12):1629-36. “Dream-enacting behaviors in a normal population.” Di Nielsen T, Svob C, Kuiken D. del Dream Nightmare Laboratory, Sacré-Coeur Hospital of Montreal, Montreal, Canada. tore.nielsen@umontreal.ca

Un interessante studio fatto su un gruppo di pesrone sui distubi del sonno.

Non essendo una malattia, ma solo un disturbo, può essere curata con farmaci specifici e grazie a qualche seduta psicologica è possibile risalire alle possibili cause.

È l'opinione comune che non esista alcun trattamento efficace. Inoltre si pensa che svegliare i sonnambuli sia assai pericoloso: in realtà il vero pericolo non sta tanto nell'interruzione improvvisa del sonno quanto nello shock che può provocare il disorientamento.

mercoledì 22 settembre 2010

Assignment 5, coda: social networking

Dare un'occhiata ai vari social network che ci sono su internet è stato piuttosto interessante. Devo ammettere che l'unico che conoscevo bene era facebook e non posso dire di essere molto pratico di social network, dato che, se devo essere sincero, non mi hanno mai interessato molto e sono sempre stato un pò restio a mettere in internet, a disposizione di tutti, i miei interessi e la mia vita, essendo una persona particolarmente introversa. Tuttavia mi sono dovuto ricredere: non era tanto la paura di espormi su social networks che mi frenava, ma un'effettiva scarsa familiarità con il computer. Perciò oggi ho avuto modo di dare una scorsa a vari social networks e, devo dire, un pò mi sono ricreduto, dato che sono "luoghi" di aggregazione di persone che hanno qualcosa da comunicare. Per esempio, penso che prenderò parte a un sito come Anobii, social network dedicato al mondo dei libri e in cui mi auguro di trovare persone con cui fare due chiacchiere "serie" su una mia passione. Anche TakingITGlobal, sui prolemi del mondo, potrebbe essere interessante. Non credo che mi unirò a social network come Deviantart o Myspace in quanto, non essendo un artista, non penso che avrei un grosso contributo da dare.

Assignment 4: Feed, Personal Learning Environment Coltivare le connessioni Come “stare online”

Ho letto l'articolo dal titolo "Coltivare le connessioni". Lo ho trovato molto interessante, oltre che molto autentico (ci sono addirittura degli episodi della vita dell'autore); l'unico difetto che aveva era quello di essere un pò lungo, ma non era tedioso.
Il punto che mi ha fatto più riflettere è stato quando l'autore diceva:

"La mia tesi è che non riusciamo a trarre vantaggio dalla ricchezza del mondo

online perché abbiamo perso una cultura sviluppata e tramandata da millenni e
che, nel processo di scolarizzazione della società iniziato nel IXX secolo, è ormai
estinta perché la scuola non è stata in grado di raccoglierla e tenerla viva."

Questa tesi era supportata da tre metafore: quella di una madre, quella di un maestro e quella del mezzadro. Ma è proprio la tesi sostenuta dallo scrittore che mi ha dato da pensare. Di solito quello che si "obietta" ai ragazzi di oggi è di "rinchiudersi" in casa davanti al computer e di non avere più una socialità, di non essere attivi, di crearsi un mondo sul pc, spesso non corrispondente alla realtà e di fuggire dal contatto umano. Secondo me questo è fondamentalmente un luogo comune, in quanto i tempi sono cambiati e i ragazzi hanno modo di esprimere la loro socialità, facendo amicizia e conoscendo nuove persone anche su internet, dove appunto sono stati creati dei "social network", letteralmente delle "reti sociali", formate da un insieme di nodi. A proposito di nodi proprio l'autore dice che:

I nodi, ai fini della funzionalità della rete, sono tutti equivalenti. Non esistono ruoli diversi per i nodi, non ci sono nodi di un tipo e nodi di un altro. Le reti crescono spontaneamente in modo caotico.

E chi si sente carente degli strumenti idonei per partecipare? L'autore suggerisce che percepisce questo disagio per scolasticità dell'istruzione e per la scolarizzazione della società, che hanno fatto sì che non fossimo più in grado di essere creativi o di comunicare con esseri vienti concreti, non abbiamo più esperienze terrene, a contatto con la natura: non siamo più in grado di sentire le cose vive parlare. Possibile che sia questo che causa la mancata abilità di alcuni a fare parte di un social network?Secondo me è quasi un controsenso. L'uomo ha trovato nuovi modi per stare in contatto con il resto del mondo, ma non riesce a percepire il mondo che gli parla? E allora quale sarebbe il vantaggio della rete globale? Delle informazioni messe a disposizione di tutti in una società della conoscenza? E perchè solo chi non si crede molto adeguato a usare i siti sentendosi privo degli strumenti idonei per conoscerlo di conseguenza non sa neanche percepire la natura? Non potrebbe essere il contrario? Che chi è abituato a vivere a contatto con la natura di conseguenza non ritenga necessario fare uso dei computer, ma magari cerca di farne a meno o di arrangiarsi (primo comandamento di una vita spartana)?

Questa è l'unica critica che mi sento di fare ad un articolo molto piacevole e che mi ha davvero molto arricchito, un piccolo panphlet che espone una serie di concetti con il quale mi sento concorde.



Assignment 5 bis: la Folksonomy

Se devo essere sincero è la prima volta che sento parlare di Folksonomy, o meglio una tassonomia per computer creata dagli utenti, ovvero dal popolo (o "folk"). E' un concetto abbastanza interessante: il sistema tassonomico, ovvero la catalogazione delle voci di un sito, non è più organizzato dal gestore del sito web, ma dalla comunità.
Per quello che ho capito, la classificazione e l’accesso ai contenuti di un sito come Yahoo! avviene per categorie/sottocategorie fissate a priori (come scienze, letteratura, geografia..). La mancata flessibilità di questo sistema costituisce un grande problema: tante sono le voci che si potrebbero mettere "a cavallo" di più categorie. Di conseguenza si assiste oggi a un passaggio verso un sistema che consente agli utenti di archiviare le informazioni liberamente e in modo collaborativo, semplicemente assegnandogli un’etichetta, una parola chiave (un tag) che consenta di ritrovarle utilizzando un motore di ricerca. Con questo sistema di tag, che sta alla base del successo fi Google, si formano dei percorsi di navigazione dinamici basati sul sempre maggiore numero di tag.
Anche se può sembrare ovvio, trovo che il concetto di Folksonomia non sia così scontato e sono contento di aver fatto un piccolo passo avanti nelle scoperta del mondo e dell'organizzazione dei siti.

sabato 28 agosto 2010

La sconosciuta


Film del 2006 del premio Oscar Giuseppe Tornatore, “La sconosciuta” è la storia di una donna di cui non si sa praticamente niente, se non il nome (Irena), la nazionalità (ucraina) e l’obiettivo: andare a lavorare presso la famiglia Adacher. Quello che vi propongo è-a mio avviso-un buon noir: pertanto mi trovo sempre un po’ in difficoltà quando devo parlare di pellicole del genere, perché, da un lato, si è tentati di dire tutte le riflessioni e le impressioni che si sono percepite durante il film; dall’altro non si vuole rovinare un film così coinvolgente a chi non lo ha visto raccontando la trama in maniera dettagliata. Perciò proverò a dire l’essenziale sulle vicende di Irena, cercando di insinuare l’interesse e la voglia di farvi guardare questo film.
Pertanto dirò solo che Irena riuscirà a ottenere un lavoro come tata presso la famiglia Adacher, dove insegnerà a una bambina che le somiglia tanto, non dotata dell’impulso a reagire quando viene spinta o offesa, una sorta di “religione della violenza”. Piano piano emergerà anche il violento passato della “Sconosciuta”, fatto di prostituzione e sfruttamento.
La violenza, cui è stata abituata Irena quando faceva la prostituta e che la “sconosciuta” cerca di insegnare alla piccola Adacher (un po’ come quella che Rosso Malpelo insegna al piccolo e malato Ranocchio nella famosa novella di Verga), si respira in tutto il film. Questo non perché siano molte le scene di vessazioni, ma perché è proprio la violenza il motivo conduttore delle esperienze di Irena.
L’abilità dietro la macchina da presa di G.Tornatore è indiscussa. In questo caso il regista di “Baaria” abbandona il virtuosismo e la fotografia patinata, per un film più scarno, basato sulla storia. Questa ultima è ben organizzata con una serie di flashback e tramite l’uso di piani temporali diversi. Un film in definitiva spoglio dell’enfasi che capita che sia comune nelle pellicole di questo regista, in favore di un racconto pieno di suspence, ottenuta anche per merito della magistrale colonna sonora di E.Morricone.
Bravi tutti gli attori (M.Buy, C.Gerini, M.Placido, P.Degli Esposti, P.Favino..), sui quali spicca la bravissima sconosciuta, Xenia Rappoport, attrice di origine russa che, con fare teatraleggiante, è accompagnata dalla cinepresa nelle vicissitudini che affronta, in una opprimente e fredda città dal nome inventato che corrisponde a Trieste.
Vi consiglio proprio questo film, definito da alcuni “un incalzante thriller psicologico macchiato di orrore che ci aggancia fino agli ultimi minuti”.

domenica 28 marzo 2010

Avatar e il futuro del cinema


Al botteghino non ci sono confronti: il film di J.Cameron, Avatar, ha avuto il più alto incasso (e successo) nella storia del cinema, battendo un record registrato dallo stesso regista nel 1997 con Titanic, che all’epoca guadagnò circa un miliardo e 843 milioni di dollari.

Il colossal in questione, costato la bellezza di 237 milioni di dollari, è in grossa parte fatto in 3D e presenta molte tecniche all’avanguardia.

Ci sono subito state alcune critiche, principalmente da parte di alcuni registi, che sentenziavano che uno stile di film così ipertecnologico fa perdere il senso dell’immagine e di una narrazione affine alla realtà, in favore di un cinema “delle macchine”.

Alcuni commenti su Avatar:


S.Spielberg, regista: Da questo momento chiunque voglia fare un film di fantascienza dovrà necessariamente confrontarsi con gli standard che Cameron ha raggiunto in Avatar


R.Faenza, regista: La certezza è una sola: il computer ha preso il sopravvento sulla macchina da presa, le immagini umane sono ormai superate da immagini virtuali. E’ il dominio del fantastico occupato militarmente con la forza del denaro più che con la creatività. E noi finiamo inevitabilmente per ritirarci nel comodo ruolo di spettatori passivi, stupefatti e inermi


P.Virzì, regista: Rispetto agli ometti blu disegnati con il computer, io continuo a trovare più emozionante un primo piano di Stefania Sandrelli o di Valerio Mastrandrea. Sia detto senza moralismo: è questione di gusti


Samuel L.Jackson, attore: Il cinema non è in crisi. E non ho niente contro il 3D. è ilfuturo del cinema. Ma non temo per il lavoro di noi attori. Ci sarà sempre bisogno di noi


Giancarlo De Cataldo, scrittore: Avatar conferma una legge del cinema americano: dietro a ogni grande successo c’è un intelligente connubio tra tradizione e modernità. E maggiore è la risonanza tra la storia e i sentimenti della gente, maggiore è il successo


E tu che ne pensi?

venerdì 19 marzo 2010

Invictus

Invictus, film del 2009 di Clint Eastwood, vede come protagonista un bravissimo M.Freeman nella parte di Nelson Mandela. Questo grande personaggio della storia del Sud Africa esce dal carcere, diventando presidente del suo stato (siamo negli anni ’90, appena dopo la fine dell’aparthied in questo stato africano molto distante da noi). Le difficoltà che il neopresidente si trova a affrontare sono tante: prima fra tutte la questione dell’uguaglianza tra bianchi e neri dopo un lungo periodo di discriminazioni. In vista dei mondiali di rugby, lo sport più seguito nel paese, Madiba, come viene affettuosamente chiamato, decide di puntare sulla squadra degli Springboks, con la sorpresa di tutti, dato che era la squadra-simbolo dell’apartheid.
Non vi rovino il finale, ma sappiamo tutti chi vinse i mondiali alla fine.
Basato sul romanzo di John Carlin "Playing the Enemy: Nelson Mandela and the Game That Made a Nation" , Eastwood fa un film classico, serio, ma sicuramente non il suo migliore.
Il regista cerca di conciliare alcuni generi diversi (biografia, fatti storici e sport), ma secondo me ci riesce fino a un certo punto. Con un inizio molto interessante, che si occupa di temi come l’uguaglianza, le discriminazioni e la povertà, il film scivola nella tematica sportiva, fino a diventare un film sul rugby. Mentre infatti Visconti fa una dilatatissima scena di ballo ne “Il Gattopardo” senza fare un film sul ballo, Eastwood perde di vista il concetto che il mondiale voleva esprimere, puntando troppo sul mostrare le partite, gli stadi gremiti e la gente tesa a ascoltare alle radio il cronista sportivo. Dal film infatti sembra quasi che la questione morale sia solo un contorno di quella “kermesse di rugby”.
Non ho amato molto nemmeno il personaggio di Mandela, verso cui c’è un rispetto fin troppo ossequioso, che sfiora più l’agiografia che il fatto storico.
In definitiva non è un brutto film, ma da Eastwood, dopo Million Dollar Baby, mi aspettavo molto di più.

Invictus

sabato 13 marzo 2010

Premi Oscar 2010: i vincitori

Miglior film:
The Hurt Locker

Miglior regia:
Kathryn Bigelow per The Hurt Locker

Miglior attore protagonista:
Jeff Bridges per Crazy Heart

Miglior attrice protagonista:
Sandra Bullock per The Blind Side

Miglior attore non protagonista:
Christoph Waltz per Bastardi senza gloria

Miglior attrice non protagonista:
Mo'Nique per Precious

Miglior sceneggiatura originale:
Marc Boal per The Hurt Locker

Miglior sceneggiatura non originale:
Geoffrey Fletcher per Precious

Miglior film d'animazione:
Up

Miglior film straniero:
El secreto de sus ojos (Argentina)

Miglior documentario:
The Cove

Miglior scenografia:
Rick Carter, Robert Stromberg e Kim Sinclair per Avatar

Miglior fotografia:
Mauro Fiore per Avatar

Migliori costumi:
Sandy Powell per The Young Victoria

Miglior montaggio:
Bob Murawski e Chris Innis per The Hurt Locker

Miglior trucco:
Barney Burman, Mindy Hall e Joel Harlow per Star Trek

Miglior colonna sonora:
Michael Giacchino per Up

Miglior canzone originale:
Ryan Bingham e T-Bone Burnett "The Weary Kind (theme from Crazy Heart)" per Crazy Heart

Miglior sonoro:
Paul N.J. Ottosson e Ray Beckett per The Hurt Locker

Miglior montaggio effetti sonori:
The Hurt Locker

Migliori effetti visivi:
Joe Letteri, Stephen Rosenbaum, Richard Baneham e Andrew R. Jones per Avatar

Tess

Tess

Un film di un po’ di tempo fa che mi ha fatto molto pensare è stato “Tess”, una pellicola del 1979. Dietro la macchina da presa c’è Roman Polanski, regista polacco di origini ebree che ha lavorato anche in Italia e che ha vinto il premio Oscar come miglior regista un paio di anni fa, con il toccante film “Il pianista”. Polanski stavolta invece ci racconta la storia di una donna, Tess, dall’omonimo romanzo di Thomas Hardy (1891), a cui è abbastanza fedele. Tess (Nastassja Kinski) è una contadina inglese dell’800, che va a lavorare come bracciante presso una fattoria. Lì il fattore, Alec (Leigh Lawson), si innamora di lei e la mette incinta. Così Tess fugge, per la vergogna, dall’invidia degli altri braccianti. Si rifugia a casa del padre. Il bambino nasce, ma dopo poco tempo muore e non viene seppellito in terra consacrata, poiché non era stato battezzato -il prete non aveva voluto battezzarlo perché frutto dell’amore extraconiugale del fattore-. Tess quindi lascia la casa del padre e trova lavoro in un altro posto. Lì un contadino, Angel Clare (Peter Firth), si innamora di lei, ricambiato. Celebrato il loro matrimonio, Tess gli confessa la sua precedente disavventura amorosa. Il marito, dispiaciuto e confuso, la lascia per andare a cercare fortuna in Brasile. Passato molto tempo, Tess incontra di nuovo Alec, che cerca di convincerla a sposarlo. Tess, dopo molte esitazioni, accetta credendo che Angel fosse morto. Ma questo ultimo ritorna dall’America e la situazione peggiora fino a terminare in tragedia…

Il film è una collaborazione franco-inglese e, a suo tempo, ebbe successo e piacque in parte anche ai critici. In esso si può notare la maestria del regista polacco nel descrivere un personaggio di spessore senza “farlo parlare troppo”. La Tess di Polanski è infatti silenziosa, schiva, sottomessa, ma quasi diabolica. Lo spettatore è spinto a vedere con distacco la protagonista durante le sue sventure, ma allo stesso tempo è sensibile alla sua storia, come se essa fosse solo una pedina nelle mani di qualcun altro, ovvero la ipocrita società vittoriana. Questa ultima la avrebbe etichettata come una “fallen woman”, una "donna caduta"(vedi letteratura francese dell’epoca); Polanski, e anche Hardy, intendono invece dimostrare l’innocenza di Tess, stuprata da un provincialotto e abbandonata dal marito, costretta solo dal caso ad improvvisarsi assassina. Essa è infatti rappresentata, tanto nel romanzo quanto nel film, come una lavoratrice, pronta a dire la verità, anche se scomoda, al marito. Si critica invece la religione cattolica, i cui praticanti vengono descritti come bigotti e ipocriti: il battesimo viene vietato a chi lo richiede, il matrimonio è visto soltanto come un “contratto” neanche tanto valido (Tess si sposa mentre è ancora sposata). Nel film inoltre si può notare l’ eleganza con cui il regista riesce a descrivere l’erotismo in tutta la vicenda. Polanski infatti non eccede mai nel mettere in scena i momenti più scabrosi, ma bensì lascia che lo spettatore intenda. Da alcuni però questa fisicità così poco accennata è stata vista come un eccesso di pudicizia da parte del regista. Premio Oscar alla scenografia, curatissima (vedi ultime scene a Stonehenge), fotografia, che ritrae benissimo la campagna inglese in cui si impongono sempre di più le macchine, e costumi, appropriati a ciascun personaggio. Golden globe come miglior film straniero. Brava Nastassja Kinski ed anche gli altri attori. Da vedere.

http://www.youtube.com/watch?v=xvGZ5XXPCSM

mercoledì 10 marzo 2010


Gosford Park

Un film degli ultimi anni che è passato un po’ inosservato, nel senso che non è molto noto tra le “masse” è di un regista americano, bravo ed affermato. Questo ultimo è Robert Altman ed il titolo della pellicola è “Gosford Park”. Ispirato ad un racconto di Aghata Christie, il film è ambientato in una villa della campagna inglese, da cui il nome il film, negli anni ’30 di questo secolo. Non c’è un vero protagonista, ma di sicuro il personaggio un po’ più importante è quello di Mary MacKitchen, la domestica che accompagna Lady Constance (Maggie Smith) a Gosford Park, la residenza del cugino dell’ anziana signora, Sir William McCordle(Michael Gambon). Questo ultimo, infatti, aveva organizzato una battuta di caccia al fagiano (riflesso impoverito della più nobile, ma vietata, caccia alla volpe) invitando, oltre alla cugina, tanti altri parenti ed amici. Si riunisce così una svariata serie di personaggi formata da giovani e rampanti nipoti in attesa di un ricco finanziamento, parenti e amici il cui unico scopo è quello di cercare di ottenere denaro dal vecchio e potente consanguineo. Non manca neanche l’americano, Ivor Novello (Jeremy Northam), che non esita a scontrarsi con le abitudini dell’alta nobiltà inglese. Improvvisamente il brusco Sir William, la sera dopo, viene ritrovato assassinato nella sua biblioteca. Addirittura, dopo lo spavento generale, i villeggianti si accorgono che egli è stato ammazzato due volte: prima avvelenato e poi accoltellato. L’increscioso fatto mette in agitazione tutta Gosford Park, determinando un gioco in cui i servi (che abitano al piano inferiore della villa e passano tutto il giorno a spettegolare) si ritrovano al pari dei padroni (che abitano –e si annoiano- al piano superiore). Ad aver commesso l’omicidio sarebbero potuti essere stati tutti i ventisei personaggi che ruotano intorno a Gosford Park, ognuno con un movente. Per questo tutti loro vengono fatti rimanere nella tenuta per un altro giorno. Il commissario Thomson, venuto da Londra, non riesce a risolvere niente per la sua inettitudine e “lascia liberi” tutti i villeggianti. Non tutti, anzi, praticamente nessuno si mostra o cerca di mostrarsi triste per la morte del defunto, tranne la serva Helsey (Emily Watson), che confessa il suo amore per lo scomparso davanti a tutti la sera prima che esso muoia. A questo punto interviene la serva Mary, che indaga e intuisce il colpevole. Il film si chiude con l’abbandono di Gosford Park da parte di tutti i villeggianti. Non svelerò il colpevole: non voglio rovinare il finale a chi volesse vedere il film.

Il regista riesce a rappresentare un buffissimo paradosso: mentre i nobili inglesi sono occupati a mantenere vive le proprie tradizioni e cercano limitatamente di risolvere il caso, presi dalla smania di annullare l'identità degli altri componenti della società, la servitù assume nome e grado dei loro datori di lavoro, sottraendo alla nobiltà, di sottecchi, il ruolo di protagonista. Un passaggio indolore dato lo stato di morte apparente in cui da tempo giace la nobiltà che comincia a esibire al suo interno enormi ed insanabili segni di debolezza minata dalla nuova borghesia legata solo ed esclusivamente al denaro. Non è certo casuale il fatto che la risoluzione dell'omicidio e l’indagine riguardo al duplice delitto, sia opera della giovane Mary, serva ed improvvisato detective. Essa è infatti una esemplare del terzo stato, pronta all’azione e disposta anche al “gossip”. Gosford Park è stato definito da alcuni critici un “quadro impressionista”, in quanto il regista riesce a dare vita, con alcune pennellate, a tanti e variegati tipi umani. Con una infinità di sguardi critici Robert Altman finisce con il donare a questa opera cinematografica una inaspettata coerenza e una graduale omogeneità narrativa. Uno sguardo collettivo, lucido e distaccato, su un momento di decadimento. Ottimi tutti gli attori (in special modo M. Smith nel ruolo della anziana inglese snob). Bellissima l’ambientazione e la ricostruzione storica e la fotografia è splendida. Oscar per la sceneggiatura (ricca di humour inglese), il regista (all’opera con una delle sue massime espressioni) ed all’ambientazione. 5 golden globe. Musica di Doyle OK. Da vedere.

venerdì 5 marzo 2010


immagine di prova