
Gosford Park
Un film degli ultimi anni che è passato un po’ inosservato, nel senso che non è molto noto tra le “masse” è di un regista americano, bravo ed affermato. Questo ultimo è Robert Altman ed il titolo della pellicola è “Gosford Park”. Ispirato ad un racconto di Aghata Christie, il film è ambientato in una villa della campagna inglese, da cui il nome il film, negli anni ’30 di questo secolo. Non c’è un vero protagonista, ma di sicuro il personaggio un po’ più importante è quello di Mary MacKitchen, la domestica che accompagna Lady Constance (Maggie Smith) a Gosford Park, la residenza del cugino dell’ anziana signora, Sir William McCordle(Michael Gambon). Questo ultimo, infatti, aveva organizzato una battuta di caccia al fagiano (riflesso impoverito della più nobile, ma vietata, caccia alla volpe) invitando, oltre alla cugina, tanti altri parenti ed amici. Si riunisce così una svariata serie di personaggi formata da giovani e rampanti nipoti in attesa di un ricco finanziamento, parenti e amici il cui unico scopo è quello di cercare di ottenere denaro dal vecchio e potente consanguineo. Non manca neanche l’americano, Ivor Novello (Jeremy Northam), che non esita a scontrarsi con le abitudini dell’alta nobiltà inglese. Improvvisamente il brusco Sir William, la sera dopo, viene ritrovato assassinato nella sua biblioteca. Addirittura, dopo lo spavento generale, i villeggianti si accorgono che egli è stato ammazzato due volte: prima avvelenato e poi accoltellato. L’increscioso fatto mette in agitazione tutta Gosford Park, determinando un gioco in cui i servi (che abitano al piano inferiore della villa e passano tutto il giorno a spettegolare) si ritrovano al pari dei padroni (che abitano –e si annoiano- al piano superiore). Ad aver commesso l’omicidio sarebbero potuti essere stati tutti i ventisei personaggi che ruotano intorno a Gosford Park, ognuno con un movente. Per questo tutti loro vengono fatti rimanere nella tenuta per un altro giorno. Il commissario Thomson, venuto da Londra, non riesce a risolvere niente per la sua inettitudine e “lascia liberi” tutti i villeggianti. Non tutti, anzi, praticamente nessuno si mostra o cerca di mostrarsi triste per la morte del defunto, tranne la serva Helsey (Emily Watson), che confessa il suo amore per lo scomparso davanti a tutti la sera prima che esso muoia. A questo punto interviene la serva Mary, che indaga e intuisce il colpevole. Il film si chiude con l’abbandono di Gosford Park da parte di tutti i villeggianti. Non svelerò il colpevole: non voglio rovinare il finale a chi volesse vedere il film.
Il regista riesce a rappresentare un buffissimo paradosso: mentre i nobili inglesi sono occupati a mantenere vive le proprie tradizioni e cercano limitatamente di risolvere il caso, presi dalla smania di annullare l'identità degli altri componenti della società, la servitù assume nome e grado dei loro datori di lavoro, sottraendo alla nobiltà, di sottecchi, il ruolo di protagonista. Un passaggio indolore dato lo stato di morte apparente in cui da tempo giace la nobiltà che comincia a esibire al suo interno enormi ed insanabili segni di debolezza minata dalla nuova borghesia legata solo ed esclusivamente al denaro. Non è certo casuale il fatto che la risoluzione dell'omicidio e l’indagine riguardo al duplice delitto, sia opera della giovane Mary, serva ed improvvisato detective. Essa è infatti una esemplare del terzo stato, pronta all’azione e disposta anche al “gossip”. Gosford Park è stato definito da alcuni critici un “quadro impressionista”, in quanto il regista riesce a dare vita, con alcune pennellate, a tanti e variegati tipi umani. Con una infinità di sguardi critici Robert Altman finisce con il donare a questa opera cinematografica una inaspettata coerenza e una graduale omogeneità narrativa. Uno sguardo collettivo, lucido e distaccato, su un momento di decadimento. Ottimi tutti gli attori (in special modo M. Smith nel ruolo della anziana inglese snob). Bellissima l’ambientazione e la ricostruzione storica e la fotografia è splendida. Oscar per la sceneggiatura (ricca di humour inglese), il regista (all’opera con una delle sue massime espressioni) ed all’ambientazione. 5 golden globe. Musica di Doyle OK. Da vedere.
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